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Dal Sogno alla...Tersiva |
Data di pubblicazione: 3 novembre 2014 |
Scritto da: Luca Bausone |
(Il grande ometto ci aiuterà a sconfiggere le insidie di... Serrà Madù) “Ci manca la Tersiva…” era da tempo che io e Federico ci ripetevamo questa frase, per la verità di montagne da salire ce ne mancano ma la Tersiva aveva tutte le caratteristiche per piacerci; innanzitutto, difficoltà alpinistiche contenute, territorio selvaggio e cima panoramica. Decidiamo quindi di sferrare l’attacco, decidiamo da dove salire e optiamo per il percorso ad anello Lillaz-Rif.Sogno-Tersiva-Gimillian. Il primo giorno decidiamo di farlo da milord: visto che la salita al Sogno (soprattutto la prima parte) ci interessa come guardare la vernice che asciuga, decidiamo di salire con la jeep pagando il dovuto per cui nel tardo pomeriggio siamo al confortevole rifugio. Durante il tragitto veniamo fulminati con lo sguardo dai poveri escursionisti che salgono a piedi, temiamo che i loro sicuri anatemi (“i soliti snob” penseranno) abbiano effetto per il giorno dopo per cui, nel proseguimento, ci nascondiamo allo loro vista sotto gli occhi dello stupito autista. Il giorno dopo siamo agguerriti sul sentiero, dobbiamo risalire un colletto, scendere su un’amena zona di laghi e risalire al passo dell’Invergneux. La giornata è radiosa ma fresca per cui saliamo al passo rapidamente. Da lì alla nostra destra si vede la vetta della Tersiva che ci osserva severa, da lì è imponente e incute un certo qual timore ma noi, per non darle soddisfazione, facciamo finta di nulla ostentando una sicurezza che però non possediamo, io per nascondere la tensione fischietto persino. Dopo la breve sosta diamo un’occhiata a una relazione, dal colle bisogna proseguire per un ampio crestone che dovrebbe restringersi per poi portarci in corrispondenza di un intaglio attrezzato con catene, da scendere per raggiungere il ghiacciaio. La cresta si chiama Serra Madù, sembra il nome di un personaggio dei Flintstones o di una serra tropicale ma non vediamo né cartoni animati e nemmeno piante per cui iniziamo a percorrere il primo ampio tratto di sfasciumi. Nella relazione avevo letto, piuttosto distrattamente, che la cresta, benché si restringa sensibilmente, è percorribile anche sul filo per cui proseguiamo, la traccia c’è. Siamo tranquilli e determinati ma la nostra sicurezza crolla quando arriviamo ad un punto dove la cresta si interrompe bruscamente per proseguire dopo una decina di metri. L’attraversamento è improbabile, alla nostra sinistra c’è una enorme pietraia, resto di un antico ghiacciaio che ci potrebbe far risalire la cresta, ma sembra bella dritta. Scoppiamo in un pianto dirotto, pensiamo alla mancata cima, agli euro vanamente spesi per trasporto e pernotto ritorniamo dove la cresta è più ampia e, mentre mi asciugo le ultime lacrime, rileggo la relazione e mi si illuminano gli occhi: “la cresta è comunque aggirabile sulla sinistra per tracce di sentiero sulla pietraia, resto di un antico ghiacciaio. Scendiamo sulla nostra sinistra sulla pietraia e, come d’incanto, troviamo un bel omettone che ci aspetta. Siamo commossi, lo abbracciamo e baciamo caldamente, e, dopo un’offerta votiva di un pezzo di cioccolato e frutta secca (anche se non siamo idolatri pagani non si sa mai…) e alcune danze rituali di ringraziamento proseguiamo per la pietraia. Le tracce di sentiero sono ben omettate e in effetti si risale facilmente un ripido canale per scollinare dalla parte destra della cresta dove si prosegue per tracce di sentiero, in parte delicate, per giungere ad un pianoro superiore, dai connotati quasi lunari. Arriviamo all’intaglio, dò un rapida occhiata ed è attrezzato con solide catene su placche comunque appoggiate, “ E’ facile e ben catenato!” dico a Federico “Dammi la macchina fotografica che scatto qualche foto quando scendi!” Il socio si cala sulle placche, scatto qualche foto, e poi inizia a scendere. E qui iniziano gli smadonnamenti che hanno spesso contraddistinto le nostre gite nei momenti di ravanaggio un po’ “adrenalinico”. In effetti le placche sebbene appoggiate sono liscissime e la catena inchiodata alla parete è solida ma un po’ lasca, per cui la discesa di braccia è piuttosto faticosa e delicata. Scatto sadicamente qualche foto del socio che scende alla fine della prima balza grondando sudore a tutto spiano, le sue braccia son brasate, penso che potrei vendere le sue drammatiche foto prima della caduta, forse a caro prezzo a qualche rivista morbosa. Ma il socio resiste, l’ultimo pezzo è meno appoggiato e, ormai preparato alla difficoltà l’eroico Federico scende di braccia e raggiunge la pietraia antistante al ghiacciaio, ora tocca a me. Scendo sulla balza aggrappandomi alla catena ma in effetti, soprattutto all’inizio, è lasca per cui la discesa è delicatina. Vado giù di braccia e mi concedo qualche sana bestemmia, giusto per sdrammatizzare, ma alla fine arrivo anch’io alla pietraia; ho le mani insensibili e le braccia cotte, la facevo più facile ma è mestiere che entra (ma l’avrei volentieri tenuto fuori…) Ora è il momento del ghiacciaio, fa caldo, mentre indossiamo fieramente i ramponi scendono giù dall’intaglio un paio di “supermen” locali in maglietta e pantaloncini che in men che non si dica sono sul ghiacciaio: Il tempo di un saluto e un paio di battute e proseguono con delle scarpe da marcia sulla neve con qualche scivolata ma con una rapidità insospettabile. Osserviamo i due puntini ormai lontani verso il canale d’accesso alla spalla di salita come se fossero due marziani verdi con il naso a trombetta e proseguiamo ormai svergognati sul mite ghiacciaio, per fortuna privo di crepacci e quindi di pericoli. Su un sentiero in parte nascosto da nevai, raggiungiamo la spalla sinistra della montagna che è ripida da lontano mentre da vicino è ripida ugualmente (“tranquillo, dissi a suo tempo al socio, da vicino è molto più appoggiata…”) e molto sfasciumata. Perdo il sentiero e sulla mia verticale vedo i due superman non lontano dalla vetta, in preda a delirio da onnipotenza salgo dritto come un fuso verso di loro, stacco praticamente una pietra ogni passo. Il povero socio è sotto di me di qualche decina di metri e viene bersagliato, sembra un remake montano di “space invaders”, io che attraverso e sparo un po’ di sassi e lui che scatta e si ripara sotto qualche roccione. Nonostante la mia mitragliata si salva e lo vedo avanzare a zig-zag abbastanza agevolmente mentre io annaspo sull’infido pietrame. In effetti il sentiero esiste ed è anche abbastanza comodo nonostante gli sfasciumi, impreco con particolare acredine per la fatica inutile e riprendiamo a salire. A una cinquantina di metri di dislivello dalla cima, con la statua della Madonna già in vista, troviamo un bel nevaio per cui calziamo i ramponi e saliamo e in poco tempo siamo in vetta a questa montagnona. La vista è incantevole e noi siamo sullo stanchino per cui ci concediamo una ricca pausa ristoratrice e le foto di rito; è il momento di scendere un lungo cammino ci attende verso Gimillian ma siamo allenati, pensiamo, per cui non c’è problema. Ci fermiamo al recentissimo bivacco Glarey per una breve sosta, dopo la discesa dalla impervia spalla della montagna e proseguiamo verso Gimillian. Ci siamo chiaramente sopravvalutati, la discesa è interminabile. Arriviamo all’Alpe Grauson inferiore che sembriamo due zombie, i piedi ci fumano, sul sentiero abbiamo improvvise accelerazioni e poi ci fermiamo improvvisamente come marionette impazzite, le gambe rispondono istericamente alle nostre sollecitazioni. Quando all’alpeggio del Grauson vedo il cartello GIMILLIAN 1h 10m. e dopo un quarto d’ora di cammino veloce vedo lo stesso cartello indicare 1h 20m capisco che per noi è finita. La tentazione è di abbandonarsi a morire in un prato ma raccogliamo le forze per l’ultima disperata discesa. Il sentiero è pieno di escursionisti che superiamo rabbiosamente, abbiamo gli occhi iniettati di sangue e ci guardano spaventati come se fossimo due psicopatici. Ad un tratto il sentiero attraversa il torrente per costeggiare la sinistra orografica della gola, lo percorriamo in preda a visioni mistiche. Davanti a me si attarda un’escursionista, cerco di superarlo ma si allarga e non mi fa passare; ci riprovo e lui insiste a sbarrarmi la strada imprecando in una lingua che mi sembra di origine teutonica. Mi guarda malignamente, penso alla fatica, al caldo, alla Merkel e alla odiosa politica di austerity che ci hanno imposto. Il sentiero costeggia pericolosamente il baratro, non c’è nessuno davanti a lui e Federico è un po’ indietro e non può vedere. È questione di un attimo, una spintarella e sento un urlo sempre più lontano, giù per la gola. Ora il sentiero è libero, mi guardo intorno, non c’è nessuno, posso volare verso Gimillian per un meritato riposo. Arrivo alla macchina in preda a delirio, mi accascio, dopo pochi minuti arriva Federico a torso nudo con il capo avvolto nella t-shirt, pensa di essere un nuovo messia e dispensa benedizioni agli increduli escursionisti che incontra. Dopo aver collassato per una ventina di minuti ci riprendiamo, siamo felici, la bella e faticosa Tersiva è nel carniere, è ora di escogitare qualche altra gita. Stiamo per salire in macchina, sento parlare una signora tedesca, cerca il marito; faccio finta di niente e partiamo allegramente verso la prossima avventura. La relazione di questa gita la trovate QUI. |