AVVENTURE IN QUOTA



Scusi,è Pointe de la Pierre? No, è il Golgota


Data di pubblicazione: 10 novembre 2014
Scritto da: Luca Bausone
È una bellissima domenica di maggio, la stagione di scialpinismo è stata discreta e c'è voglia di chiudere in bellezza con una bella sgambata magari non troppo faticosa, insomma "plaisir". Il Koala mi propone una classica delle classiche, la Pointe della Pierre sopra Pila, in nottata ha spolverato per cui in altre zone un po' di rischio valanghe c'è e poi, penso, "il dislivello è contenuto per cui me la bevo come se fosse un crodino". Accetto di buon grado, ci troviamo ad Aymavilles e poi scatta la salita mono macchina all'amena località di Ozein. Parcheggiamo in prossimità di un curvone dove c'è un gruppo di tre ragazzi che si stanno mettendo gli scarponi, "Pointe de la Pierre?" chiedo "Si" fa uno di loro molto gentilmente "Se volete saliamo insieme..." Spesso i drammi nascono per pura casualità e nel proseguo del racconto capirete il perchè...
Ci piazziamo quei due cilici degli scarponi, il Koala è dotato di Garmont Endorphine, praticamente due blocchi di cemento armato che penso la camorra usi per annegare i nemici, io dei soliti scarpa F3 molto più leggeri, anche se parecchio usurati. Parlottiamo amabilmente con l'allegra combriccola che ci attende, mi ricordo che avremmo dovuto far colazione io e il Koala ma non abbiamo trovato un bar aperto; io non ancora masticato nulla, nello zaino ho una barretta putrefatta che davano in dotazione ai soldati giapponesi della Seconda guerra mondiale e la sera prima non avevo abbondato nella cena ma me ne fotto bellamente, tanto ho il fisico. Iniziamo a salire per boschetti, un paio degli allegri compari hanno dietro uno zaino pesante con tanto di picca che mi incuriosisce, chiedo al socio se è un'alpinistica ma lui smentisce categoricamente. Nonostante gli zaini pesanti vanno come delle schegge, facciamo fatica a seguirli; arriviamo ad un ponticello e sento uno di loro dire "dovrebbe essere su di qua...almeno credo" ed entriamo in un bosco.


Prati poco sopra Ozein


Lo scenario è fiabesco, ha appena nevicato e i cristalli brillano sui rami come gemme appena qualche raggio di sole riesce a trapassare la fitta boscaglia. Si, perchè la boscaglia qui è davvero fitta, il sentiero assolutamente inesistente, saliamo per il greto di un torrente piuttosto scosceso, con gli sci e gli scarponi non è un godimento. I nostri compagni di viaggio quasi corrono, noi dietro arranchiamo ma per orgoglio non molliamo; il risultato di cotanto lodevole orgoglio è che dopo un'ora siamo due stracci da lavandino e il mio stomaco inizia ad incazzarsi per la mia involontaria politica di austerity. Troviamo finalmente il sentiero, guardo nello zaino per dare finalmente una morsicata alla barretta giapponese ma non la trovo; dev'essere scappata con un pezzo di cioccolato bianco a basso costo che avevo comprato qualche mese prima e che era pure lui sopravvissuto alle varie gite cambiando nel frattempo una decina di colorazioni e sfumature. "Amore a prima vista" penso "vorrà dire che mangerò qualcosa al ritorno..." ma sento il mio stomaco che non la prende troppo bene. Nel frattempo il Koala ingerisce rimasugli di frutta secca, anche lui pensando ad una ricca colazione non si è attrezzato molto; non ho il coraggio di chiedergli qualche avanzo visto il suo sguardo malinconico mentre mastica il frugale e scarso spuntino.













Usciamo finalmente dal bosco per pendii nevosi piuttosto sostenuti, la neve che inizialmente tiene, salendo diventa molto meno compatta e sul pendio più sostenuto troviamo placche che, sebbene non pericolose, rendono la nostra salita penosa. Due dei tre skirunner salgono come siluri, l'ultimo ha un passo meno spedito ma continuo, noi siamo ormai due zombi che annaspano nella neve. Nel frattempo, un sole impietoso è calato a picco su di noi, fa un caldo porco, io non sono neppure dotato di crema solare per cui sono ad un passo dall'insolazione e in più il mio stomaco ora si è veramente incazzato e non vuole più proseguire.










Ora è completamente chiuso, cado più volte, è un calvario vero e proprio. All'ultima caduta, Federico, pure lui sfinito ma meglio in arnese, mi allunga pietosamente l'ultimo biscotto (un mitico "ringo") che il mio stomaco, ormai irrimediabilmente offeso, si rifiuta di mangiare e che sono costretto ad espellere in maniera indegna. Gli ultimi cento metri di dislivello sono scomparsi dalla mia memoria, secondo Federico e il terzo dei compari avrei chiesto più volte dov'era il campo base del Nanga Parbat ma francamente è un particolare che non ricordo, mi ricordo vagamente la gola secca, le piaghe alle labbra, un caldo becco e infine San Pietro che mi consegnava le chiavi di Pointe de la Pierre comunicandomi che era finita, di questo non smetterò mai di ringraziarlo. In cima mi riprendo, si fa per dire, sento i due skirunner che ridacchiano, la tentazione di strappare una picca dai loro zaini per infilzarli ripetutamente è forte ma non sono in forze.











Scendiamo per dolci pendi, per fortuna , la prima parte è su ottima neve che poi ovviamente si guasta più in basso. Scopriamo che la via normale di salita era ben diversa e molto più facile.... come bere un Crodino. "Noi"- penso-" in alternativa ci siam fatti una decina di Campari che però non abbiamo retto molto bene". Scendiamo verso Ozein con gli sci sulle spalle, la giornata è stata comunque gratificante e, state certi, di lei serberò sempre un ricordo indelebile.







>La scheda di questo "calvario", se avete il fegato di visionarla si trova QUI.

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