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Tre pazzi al Borelli. |
Data di pubblicazione: 9 dicembre 2014 |
Scritto da: Luca Bausone |
È da parecchio che passavamo in Val Veny per le diverse escursioni in quella che forse è la zona più himalayana e impressionante del massiccio del Bianco. Già noi Flintstones ci eravamo cimentati nelle classiche salite al Bivacco Hess, Rifugio Monzino (ai tempi attrezzata con ferrata fatiscente), Bivacco Rainetto, Col de la Seigne, Lago Miage, ma, mentre percorrevamo la valle, dopo il tormentato ghiacciaio del Brenva, la nostra attenzione veniva sistematicamente catturata dall’Aiguille Noire e, in particolar modo, dal Bivacco sottostante, il Borelli, un nido d’aquila raggiungibile solo attraverso una ferrata espostissima e attrezzata parecchi decenni prima. Prendiamo coraggio e programmiamo la gita per una calda domenica di luglio, “special guest” è il mio eterno amico/nemico Paolo Prandini, flintstoniano d’onore che io critico ferocemente per sue vantate imprese alpinistiche (che disconosco puntualmente) ma a cui riconosco una certa qual dimestichezza con la montagna che davanti a lui non ammetto in nessun modo. Saliamo il sentiero che conduce all’attacco della ferrata, fa caldo, io e Paolo bisticciamo come sempre, Federico ci segue stupefatto. Paolo millanta una salita alpinistica che ovviamente per me non ha mai fatto, io la etichetto come l’ennesima “balla” e sostengo che sta parlando in realtà di un’impresa di suo fratello Giancarlo, grande e al tempo stesso modesto alpinista. Vedo il mio antagonista stanco e accaldato, la vita familiare lo ha un po’ appesantito (ora è padre di tre splendide gemelle e pare intenzionato a breve a rilanciarsi sugli amati monti dopo un periodo di inattività forzata), perfidamente ne approfitto accelerando il passo e il Koala, in perfetta forma, mi segue. Sento il Paolo imprecare, dice che non è il caso di salire a tutta velocità, lo sfotto dicendo che mi pare strano che un grande alpinista come lui si trovi in difficoltà su un semplice sentiero, Federico ci guarda divertito e tra una provocazione e l’altra arriviamo all’attacco della ferrata. La tensione è alta, ci attrezziamo, io ingaggio una lotta furibonda con l’imbrago e, dopo averlo sopraffatto indosso il casco e mi aggancio il kit ferrata; il Paolo, avvezzo a tali operazioni ed esperto percorritore di ferrate dolomitiche, esegue queste operazioni con scioltezza guardandoci con una spocchia rivoltante. Partiamo, l’arrogante Paolo in testa e noi dietro; saliamo bene, la prima parte è abbastanza facile e non troppo esposta; dopo una decina di metri si percorre un traverso su sentiero non attrezzato per poi salire, su ferrata, zigzagando verso il primo spiazzo superiore. La giornata è bella, siamo abbastanza tranquilli, si prosegue su tracce di sentiero per qualche minuto fino ad un albero in prossimità del quale riparte la ferrata su un camino bello verticale attrezzato con catena piuttosto lasca. Il vanesio Paolo fa la ruota come un pavone e da esperto arrampicatore sale in opposizione senza toccare la catena, io e Federico ci appendiamo come due salumi e, brasandoci un po’ le braccia, raggiungiamo il punto dove il camino diventa più facile e appoggiato; si prosegue verso la prima scala verticalissima ed esposta. Saliamo in fila rispettando le distanze, in questi casi un capofila con anche solo una leggera flatulenza potrebbe essere letale o quantomeno produrre commenti poco entusiasti del tipo “ferrata di m…”; per fortuna il capofila Paolo ha fatto una sana colazione per cui si prosegue senza intoppi. Si fa un bel traverso su pioli arrugginiti, il solito Paolo si esibisce in un perfetto movimento arrampicatorio qui illustrato e ci guarda con sdegno mentre proseguiamo aggrappandoci disperatamente alla catena, dopo troviamo un’altra scala sempre esposta a cui segue un traverso più lungo; ad un certo punto vedo Paolo salire per un risalto verticale e sparire dietro le rocce, gli chiedo com’è e il fellone diabolicamente risponde “ e mo’ son tutti c…vostri!” Io e Fede saliamo un po’ timorosi ma tutto sommato il passaggio è piuttosto semplice per cui raggiungiamo il Paolo nel punto dove l’ultima placca bella verticale e attrezzata con pioli e catena , permette di raggiungere il pianoro del Combalet dove si trova l’arduo Borrelli. Risaliamo decisi e arrivati al pianoro vediamo sulla nostra destra, addossato alle rocce, il bivacco. Non è vicino c’è ancora un po’ da camminare per tracce di sentiero ed io smanioso di raggiungerlo, parto lancia in resta seguito dal socio Federico, Paolo arranca dietro di noi ed inizia ad imprecare ma facciamo finta di nulla è la nostra rivincita. Attraversiamo un torrente su placche instabili e delicate e arriviamo al Borelli dove l’accoglienza è ottima, parliamo con i gestori, vedo una tromba impolverata e la prendo in mano, è per mancini non l’avevo mai vista. Uno dei gestori mi chiede se sono capace, rispondo fieramente di sì, ci soffio dentro ed esce fuori un suono terribile e acutissimo che echeggia sinistro per il Combalet (il giorno dopo avrei appreso che proprio in quell’esatto momento un paio di cordate era precipitata dall’ Aiguille Noire per una frana, non credo comunque ci sia un nesso logico…). Il Prandini è attardato, sta per attraversare le balze ma cade fragorosamente smuovendo una miriade di sassi, i gestori ci chiedono se lo conosciamo e mentre Federico nega spudoratamente io ammetto che purtroppo è con noi ma aggiungo che è solo un cialtrone. Arriva accaldatissimo grondante sudore, ora è meno superbo; comunque, anche noi non siamo due fiori e, pensando al lungo ritorno, facciamo una lunga sosta al rifugio gustandoci una bella spaghettata e parlando di progetti futuri; davanti a noi giganteggia la cresta sud della noire, una delle classiche più famose di tutte le Alpi, uno spettacolo sontuoso. Viene presto il momento di scendere, salutiamo caldamente i rifugisti, attraversiamo con cautela il Combalet e iniziamo la discesa. Siamo piuttosto stanchi e il caldo si fa sentire; io, proprio per la stanchezza, cerco di scendere piuttosto velocemente, quando ridiscendo l’ultimo tratto ripido di camino aggrappandomi come all’andata alla catena capisco che il più delle difficoltà è superato ed è sempre un bel momento. Mi raggiungono sia Paolo che Federico e scendiamo l’ultimo facile tratto di ferrata e poi il sentiero che porta a Purtud. Siamo tutti sfiniti, il Paolo si è ripreso ma ora è scattato l’allarme Federico, in netta riserva, quando arriviamo alla macchina si accascia drammaticamente, temiamo il solito Koalicidio con tanto di accuse del WWF, ma, dopo una sorsata miracolosa dalla borraccia (chissà cosa bevono i Koala...), il prezioso marsupiale si riprende. Siamo pronti per una birrona al bar del camping dell'Aiguille Noire, siamo tutti stanchi e felici, Paolo si vanta di aver scalato il Pilone Centrale del Freney del Bianco, prima del tentativo di Bonatti e di Bonington, ma non abbiamo la forza di contraddirlo: in realtà sappiamo benissimo che l'impresa la fece Gianfranco...il mitico fratello. La relazione della gita la trovi QUI. |