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Alla ricerca della ferrata perduta |
Data di pubblicazione: 13 ottobre 2014 |
Scritto da: Luca Bausone |
DUE NOVELLI INDIANA JONES SALGONO AL RIFUGIO MONZINO PER LA FERRATA FANTASMA E’ tardo pomeriggio di un venerdì di metà luglio, il weekend si prospetta bello, il Socio Koala (nome d’arte di Federico) scalpita e pure io sono voglioso di montagna. La meta non è ancora decisa, siamo incerti tra una ventina di destinazioni per cui ancora in alto mare, capito per caso sul sito del mitico Rifugio Monzino. Non ho velleità particolari, la ferrata per raggiungere il Rifugio l’abbiamo già fatta svariate volte (vecchia e nuova generazione) e dà lì partono solo alpinistiche nettamente fuori dalla nostra portata di umili escursionisti benché piuttosto esperti. Consulto la schermata delle vie alpinistiche del rifugio (oggetto anche di un gustoso dépliant), giusto per sognare una carriera alpinistica in un’altra vita, quando la mia attenzione viene carpita da un tracciato sulla sinistra del rifugio con l’indicazione “vecchio sentiero per il rifugio Gamba”. So che un tempo esisteva la vecchia capanna Gamba, teatro di avventure e disavventure alpinistiche negli anni 60, ma pensavo che si raggiungesse per lo stesso sentiero del nuovo Monzino per cui questo sentiero mi giunge nuovo. La curiosità è a mille, preso da un raptus escursionistico, telefono al Rifugio e mi risponde il gentilissimo gestore Armando che conferma tutto. E’ un sentiero nuovo, in parte ferrato, che sta ultimando con l’aiuto di una guida, è più complicato del sentiero ordinario, con l’attacco da trovare e qualche passaggio un po’ delicato benché attrezzato. Gongolo, questa è una chicca, Armando mi conferma che non la fa mai nessuno e la cosa mi ingolosisce, mi faccio dare qualche indicazione in più e, in preda ad eccitazione, telefono a Federico che, benché un po’ timoroso, approva la scelta fiutando l’incredibile scoop. La mattina del sabato, ci troviamo in Val Ferret allo Chalet Pramotton. Siamo determinati come Don Chisciotte e Sancho Panza, io sono attrezzato come un’alpinista serio, spezzone di corda da 30m, imbrago, qualche rinvio, secchiello, cordini, longe, casco. Lo zaino è pesantissimo, due escursionisti che parcheggiano a fianco a noi, attrezzati con imbrago e tradizionale kit ferrata ci chiedono la destinazione e quando rispondo Monzino con fierezza mi guardano come se fossi un pazzo esaltato. “Ah”, risponde uno dei due “ehm… bene, ci vediamo su”. “Speriamo…. “bisbiglia il Koala. Partiamo pieni di baldanza e in poco tempo giungiamo al lago delle marmotte e sulla ripida morena del Miage. Le indicazioni del gestore sono precise “…all’altezza di un’enorme masso sulla morena, scendete a destra sul lago delle marmotte, attraversatelo per cercare un ometto in corrispondenza di un ripido canalino...” Riferisco al socio omettendo il trascurabile particolare aggiunto dal gestore durante la conversazione telefonica “ah… non è facile da trovare, tanta gente è tornata indietro…” Scendiamo faticosamente dalla scoscesa morena e attraversiamo altrettanto faticosamente quel che resta del lago delle marmotte. In realtà non resta più nulla né del lago e ovviamente anche delle marmotte che, non essendo animali minchioni, si saranno cercate un altro lago…ci ripromettiamo quindi di proporre una nuova denominazione del luogo alla pro loco locale. Dopo queste edificanti considerazioni giungiamo a metà dell’(ex) lago per cercare da lontano di identificare il misterioso canalino “omettato”, passiamo una decina di disperati minuti a esaminare gli innumerevoli canali che scendono dalle balze dell’Aiguille de Chatelet ma dell’ometto nessuna traccia ( e te pareva..) Decidiamo di avvicinarci alle balze con grande circospezione per identificare da vicino il maledetto ometto, fa un caldo porco e il lago delle marmotte viene provvidenzialmente (ma comunque insufficientemente) inondato dal nostro sudore. Passiamo in rassegna i vari canali ma niente, sono decine, tutti ripidi e dopo una ventina di minuti mi siedo su un masso esausto e disperato. Sorseggio avidamente l’acqua della borraccia, inizio ad avere delle visioni mistico-animalistiche e vedo centinaia di marmotte ai miei piedi che mi celebrano come il loro messia. Nel frattempo, mi raggiunge Federico, pure lui esausto, lo guardo sconsolato “E’ tutto inutile, non lo troveremo mai…” ma lui mi guarda stupito “ma… come, pensavo…beh, guardati dietro”. Mi giro stancamente e , sorpresa delle sorprese, sul masso sul quale sono seduto compare un opulento omettone di vari strati , sto per svenire non so se per la felicità o per un infarto in corso. Dopo la salutare pausa, entusiasti della (casuale) scoperta attacchiamo lo stretto e ripido canalino di sfasciumi che culmina con un brevissimo passaggio di I grado contrassegnato da un bollo rosso e che porta ad un traverso su balze erbose scoscese solcate da ripidi canali. Proseguiamo cautamente, una scivolata ci “incanalerebbe” verso il lago, probabilmente reincarnati in una marmotta; ogni tanto la presenza di qualche bollo e di qualche ometto ci rasserena. Giungiamo ad una serie di balze attrezzate in parte con una corda che portano ad uno stretto intaglio tra due roccioni, risalgo aiutandomi con la corda mentre Federico mi aspetta più in basso e , solo alla fine della risalita , compare davanti a me, giusto nell’intaglio, un canalino di sfasciumi ripido che culmina con 5-6 metri di roccette verticali attrezzate con corda e contrassegnate da bolli gialli. Nel frattempo, il Koala mi raggiunge, si terge la fronte e alza la testa “Minchia!” è la prima eloquente esclamazione che gli viene in mente “Stavo pensando la stessa cosa…” ribatto prontamente. Inizio la risalita, è veramente ripida e tiro giù un po’ di pietre mentre il Koala si mette al riparo per evitare una lapidazione in piena regola. Arrivo ansante alle roccette, sono due traversi (ovviamente) ascendenti prima a sinistra e poi a destra su buoni appigli e attrezzati con corda un pochino lasca ma complessivamente efficiente. “Non c’è problema” penso e parto lancia in resta aggrappandomi alla corda con uno scatto atletico; non ho notato un aguzzo e diabolico spuntone che fa da piccolo tetto e batto una craniata apocalittica. “AHIA PORCA PUTT…!!” urlo rabbioso. Il socio da sotto mi osserva preoccupato. Per fortuna, nonostante l’evidente commozione cerebrale, non mollo la presa sulla corda; in caso contrario sarei rotolato rapidamente giù per l’intaglio e, grazie a un complicato sistema di ripidi canali comunicanti, sarei probabilmente arrivato fino alla soglia dello Chalet Pramotton, a fondo valle, pronto per una refrigerante birra. Nonostante il contrattempo salgo agilmente lasciando una leggera striscia di sangue sulla roccia, traverso a sinistra e poi a destra et voilà, sono in cima alle rocce. Nel frattempo Federico raggiunge l’inizio delle roccette, per sicurezza s’imbraga e gli lancio lo spezzone di corda al quale si assicura, non faccio in tempo a gridargli “ATTENTO ALLO SPUNT…..” che odo “AHIA, PORCA PUTT…”troppo tardi, ai bolli gialli che contrassegnano le rocce ora si sono affiancati bolli e strisce rosso sangue ma è meglio così, ora sono ben segnalate. Recupero il socio che sale senza problemi, in realtà sarebbe un passaggio di III, III+ con parecchi appigli e spuntoni, che è solo in parte agevolato dalla corda un po’ lasca sulla quale è inutile aggrapparsi di peso ma che va utilizzata diligentemente insieme agli appigli. Ora ci troviamo su un traverso su terreno sempre infidamente ripido ed erboso ma attrezzato con delle corde fisse nei punti più scabrosi, lo affrontiamo, benché gravemente feriti al capo, con il giusto piglio e, in men che non si dica ci ritroviamo a risalire tracce di sentiero sotto un’enorme placconata a fianco allo Chatelet. Alla fine di queste tracce, miracolo dei miracoli, una ferrata nuova di pacca (anzi in questo caso di placca). Intuiamo da un secchio con residui di cemento e una cazzuola che è stata predisposta da pochissimo, la affrontiamo con curiosità; si rivela divertente e varia, diedrini e roccette si alternano a placche appoggiate, non è continua ma manca il cavo giusto dove non serve. Quando arriviamo in cima la prospettiva si apre nel grandioso spettacolo del selvaggio bacino del Brouillard; si vede la Cresta frastagliata, il tormentato ghiacciaio sovrastante. Percorriamo il sentiero erboso che si snoda a fianco del bastione dello Chatelet e, dopo un’oretta abbondante giungiamo in corrispondenza di un intaglio sulla destra, appena sotto il Rifugio Monzino. Sappiamo che esiste la possibilità di risalire al rifugio grazie a corde fisse ma in realtà sappiamo che il sentiero per la Capanna Gamba passava ben più in alto e noi vogliamo essere coerenti con la scelta iniziale: si prosegue sullo storico sentiero. In realtà il sentiero per un po’ prosegue e poi scompare per pratoni e poi per nevai. Iniziamo a smadonnare e a pensare “ma chi cazzo ce l’ha fatto fare …potevamo salire subito al Monzino” , riusciamo a perderci un paio di volte, ci dirigiamo verso la bastionata sottostante il ghiacciaio ma ci alziamo troppo per cui bisogna scendere. Raffiche di smadonnamenti echeggiano nel selvaggio bacino quando riusciamo a scorgere bolli gialli e tracce di sentiero che portano, con un breve traverso alla bastionata del rifugio. Lo percorriamo avidamente e ci troviamo in pochi minuti sulla bastionata nel vecchio spiazzo che ospitava la storica capanna, appena sopra il Monzino. Lo spettacolo qui è ancor più grandioso, si vede chiaramente il rasoio della cresta ovest dell’Aiguille Noire alla nostra destra, davanti a noi il canale dell’innominata, l’Aiguille Croux, Il Pilone del Freney, la cresta dell’innominata, le Aiguilles Blanches e altre mitiche vette che hanno contrassegnato la storia dell’alpinismo ci osservano severe. Siamo comunque pieni di orgoglio per il sentiero appena percorso, qualche goccia di sangue cola ancora dalle nostre teste ferite, perenne ricordo di un maligno spuntone, ma non ci impressioniamo e percorriamo la breve discesa che ci porta al rifugio. Al cospetto di un’abbondante pastasciutta parlottiamo amabilmente col gentile Armando che ci conferma che siamo al momento i primi a esser saliti dal sentiero, la ferrata è quasi ultimata e con lui sta collaborando la guida alpina di Courmayeur Andrea Plat . Ci conferma, come peraltro avevamo intuito, che è molto meglio percorrerla in salita e completare il percorso ad anello scendendo poi dalla ferrata tradizionale, dal versante Freney. In effetti, pensiamo, le teppaglie erbose possono diventare delicate e scivolose se percorse in discesa e, in caso di sopraggiunta pioggia, veramente pericolose. Dopo il pasto incrociamo un paio di amici appena saliti sullo Chatelet per le vie d’arrampicata, li informiamo del sentiero percorso, si congratulano e poi straniti guardano le nostre fronti “Ma…avete cozzato la testa uno contro l’altro?” Glissiamo cambiando rapidamente argomento e, dopo averli calorosamente salutati, scendiamo prima per la ferrata e poi per comodo sentiero, a fondo valle. Allo chalet Pramotton una folla festante attende i loro eroi per una birra. La relazione di questa gita la trovate QUI |